La giornata comincia alle 06:30 davanti alla sala prove, a Milano.

Come spesso mi succede sono il primo ad arrivare. Caffe’ e brioscina tiepida. Sigarette a ripetizione, mi aspetta un lungo viaggio in macchina con dei non-fumatori. Devo riuscire a fumare cosi’ tanto da farmi venire la nausea, altrimenti il tempo rischia di fermarsi del tutto.

Alle sette ci siamo tutti. Mentre carichiamo gli strumenti una ragazza minuta esce di casa, portata a spasso da un pitbull che pesera’ almeno quanto lei. Appena il cane nota un gruppetto di persone affaccendate (noi) lancia un abbaio profondo e cerca di scattare nella nostra direzione. Dalle dimensioni e dall’espressione immagino che potrebbe avere ragione di noi in pochi secondi, anche se siamo in otto. La ragazza lo trattiene, e per qualche secondo sembra che stia facendo sci nautico. Siamo salvi, possiamo partire.

Sono in macchina con GianCarlo, Isa e Fabio. Ho messo il cellulare in tasca come rito scaramantico, voglio essere certo di sentire telefonate e messaggi. Non si sa mai. Abbiamo tutti una qualche forma di attrezzatura salvavita. La mia si limita ad una scorta industriale di chewing-gum ed uno dei miei libri preferiti: “Educazione di una canaglia” di Edward Bunker, giunto alla nonsoquantesima rilettura. Il piu’ invidiato e’ Fabio: ha un meraviglioso cuscinetto gonfiabile da collo comprato dai cinesi per due euro. In pratica ti permette di addormentarti da seduto e con il collo eretto, senza che la testa ti ciondoli di lato. Piu’ tardi, cercando di dormire un po’ senza riuscirci con la testa appoggiata al finestrino, saro’ cosi’ invidioso da avere voglia di bucarglielo con uno spillone.

Il viaggio procede liscio. GianCarlo e Isa, sono adorabili. Cosi’ carini tra di loro da farmi spesso provare una stretta al cuore. E’ un invidia piu’ sana, anche se piu’ dolorosa. Gli unici episodi degni di nota del viaggio di andata sono: la scritta nel bagno di un autogrill

“per pompini 347-xxxxxxxxx
60 anni ma non li dimostro
si puo’ anche videochiamare”

che mi fa impazzire per l’intraprendenza di questo non-giovane tecnologicamente aggiornato. Se avessi un videofonino chiamerei subito, se non altro per ringraziarlo per lo straordinario atto creativo. L’altro episodio e’ quando Isa, dopo avere guidato splendidamente per tutto il viaggio di andata, si distrae un secondo guardando una nuvola. Nello stesso momento in corsia d’emergenza c’e’ una macchina ferma proprio sulla riga bianca, con due tizi scellerati che stanno in piedi praticamente nella nostra corsia di percorrenza. GianCarlo si accorge di quello che sta per succedere e scatta. Isa sterza bruscamente verso sinistra. Li sfioriamo, letteralmente, a 150 km orari. Io e Fabio capiamo quello che stava per succedere solo dopo che e’ gia’ successo. Per qualche minuto non parliamo.

Tra Milano e Bologna ascoltiamo Johnny Cash. Quando parte “Hurt” appoggio la testa al finestrino, mi vengono gli occhi umidi. I ray-ban mi proteggono. Tu sai di cosa sto parlando. What have I become? my sweetest friend. Oh Cristo, cristo…

E poi il Grande Raccordo Anulare. E poi Roma.

Scopro mentre stiamo arrivando che alloggeremo allo Sheraton. Ottimo, ho sempre pensato di essere un tipo da Sheraton, nonostante i tatuaggi e l’aria un po’ logora.

Il personale dell’albergo evidentemente non la pensa come me. Siamo carichi di strumenti e abbiamo l’aria da musicisti, per cui ho la sensazione che si aspettino che ruberemo l’argenteria non appena distoglieranno lo sguardo. Per quanto mi riguarda non sbagliano neanche troppo, solo che e’ tutto ancorato al terreno e l’argenteria non si vede. Io e Fabio siamo in una matrimoniale. Saliamo in camera per una doccia. La stanza e’ lussuosa, con due letti da una piazza e mezza e un sacco di accessori. Prima di scendere ci fumiamo una Sigaretta Allegra e, credetemi, in una camera dello Sheraton e’ davvero una soddisfazione.

Scendiamo dalla camera molto piu’ up di quando ci siamo saliti, siamo pronti per il sound-check. La manifestazione e’ in piazza De Andre’. Arrivandoci scopriamo che e’ in una zona popolare tutta fatta di palazzoni, e piu’ che una piazza vera e propria sembra un’assenza in un ritmo regolare di presenze, un vuoto in una dentatura. Ma ha un suo fascino popolaresco, e per quanto non lo abbia mai conosciuto, ho la sensazione che a De Andre’ non sarebbe dispiaciuta.

Gli artisti hanno i loro gazebo con dentro un po’ di catering e qualche seggiola. Se non ho visto male, Mario Venuti (che chiudera’ la manifestazione) e’ l’unico ad avere un gazebo tutto per sè, gli altri si dividono lo spazio a due a due. Aspetto il nostro turno bevendo birra e fumando sigarette. Sono stanco, ma ho voglia di salire su quel palco. Tra poco tocca a noi. Prima di noi i Tarantolati di Tricarico, sono in tanti sul palco ed utilizzano strumenti inusuali. Il loro sound-check e’ lento ma interessante. Quando tocca a noi siamo rapidi ed efficienti. In una mezz’ora siamo a posto. Il pianoforte e’ un Clavinova elettrico, la tastiera e’ un po’ dura ma niente di preoccupante. Who cares?

Andiamo a cena subito dopo. La trattoria del Sor Antonio. Non possiamo non ridere del nome, lo capite vero? Dentro c’e’ un caldo atroce, niente tavolini esterni. Chiediamo di accendere il ventilatore a soffitto ma non si puo’, ci spiegano che e’ rotto da tempo. Per futili motivi sono nervoso, ne fa le spese un cameriere con il quale mi comporto in modo inqualificabile. Anche i ragazzi si gelano e mi guardano, Andrea mi fa segno di stare calmo. Avvilito per essere scattato in quel modo, passo il resto della cena remissivo come un agnello appena nato. Il cameriere non lo sa ma a questo punto potrebbe anche rovesciarmi la pizza sulla camicia, e probabilmente mi scuserei io. La cena finisce bruscamente, ci chiamano e dobbiamo essere sul palco entro pochi minuti. Ho mangiato solo un boccone, ma in ogni caso non avevo molta fame. Corriamo letteralmente fino al palco.

Prima che suoniamo c’e’ una premiazione, premiano non so chi per non so cosa. Passano i minuti, chiaccheriamo nel back-stage. Poi tocca a noi. Spengo il telefono, l’istinto sarebbe di lanciarlo lontano. Ci prepariamo agli strumenti mentre finisce la cerimonia, premiati e premianti escono dal palco, entra GianCarlo. Mi piace come entra, ha carisma. Sul palco c’e’ anche Massimo, che rivedo dopo tanti anni dai tempi del Consorzio. Suona la chitarra elettrica con l’archetto. Non abbiamo mai provato insieme ma conosce i brani e si rivela uno splendido animale da palco. Suoniamo bene, soprattutto siamo tutti molto carichi e si sente dal tipo di applausi che arrivano alla fine delle canzoni. Durante l’ultimo pezzo avrei voglia di muovermi, ma stavolta non sono alla chitarra e per qualche secondo accumulo frustrazione. Allora mi alzo in piedi e ci suono tutta la canzone. Al solito, l’adrenalina e’ a mille, vorrei sbriciolare il pianoforte con le mie mani. E poi all’improvviso e’ tutto finito. Applausi. Scendiamo dal palco.

Come sempre la discesa e’ brusca, insieme all’adrenalina calano gli effetti di alcool e sigarette. Il down e’ improvviso e, anche se atteso, abbastanza brutale. Me ne sto dietro al palco da solo per un po’ a fumare e a guardare le stelle.

GianCarlo e Isa vengono a recuperarmi, dolci e discreti come nel loro stile. Torno insieme agli altri. I giovani della band si stanno organizzando per una notte romana con dei loro amici. Probabilmente ero troppo up prima. Di certo sono troppo low adesso. Restiamo ancora un’ora circa per questioni attinenti alle public relations. Io non devo intrattenerne per cui gironzolo aspettando il momento di tornare in albergo. Poi mi viene un’idea e vado a vedere dalla zona palco le facce del pubblico. Magari qualcuno mi ha fatto una sorpresa. Ma il pubblico e’ solo pubblico, e questo e’ quanto.

Rientriamo in albergo prima di mezzanotte, mi sento come cenerentola e ho voglia di stare da solo. Fabio e’ in giro a fare baldoria, quindi la mia voglia di solitudine e’ pienamente soddisfatta. Accendo la televisione e mi fumo un’altra Sigaretta Allegra giusto per il gusto di farlo allo Sheraton. Anche se la giornata e’ cominciata molto presto non ho sonno, mi sento strano e resto un po’ alla finestra a guardare fuori. E’ una serata “quasi”. Il cielo e’ quasi sereno, la luna e’ quasi piena. Io sono quasi felice per il concerto e per questo nuovo gruppo di persone che e’ entrato nella mia vita. Forse e’ piu’ corretto dire che sono felice e contemporaneamente ho il cuore affaticato. Ma non e’ successo niente e, dentro di me, ho sentito tutto quello che dovevo sentire. Benedetta telepatia. Appoggio la testa sul cuscino e penso che non riusciro’ mai ad addormentarmi. Poi mi addormento.