Oggi è scomparso uno scrittore di quelli che ti cambiano la vita. Ray Bradbury è entrato a piedi pari nella mia con le sue Cronache marziane quando ero un ragazzino, negli anni in cui cominciavo a flirtare con la fantascienza, trasformando una serie di avventure in un amore profondo. Ho letto gran parte dei suoi libri da allora, e molti di loro sono entrati a far parte del mio loop di riletture. Ma Cronache marziane svetta, segnando il punto di incontro al massimo vertice tra poesia e fantascienza nella sua forma più nobile: la materializzazione dei futuri possibili.

Solo in Neuromante e nelle prime opere di William Gibson questi due mondi tornano a collidere su orbite altissime, e forse non è un caso che il racconto con il quale voglio ricordare Ray Bradbury sia apparso come racconto breve in coda ad uno dei migliori numeri di Urania: La notte che bruciammo Chrome. Due perle in una sola ostrica.

Questo racconto è di una bellezza sconvolgente, morbidamente maschile come l’odore del tabacco da pipa, pieno di uomini e ragazzi bellissimi com’era Ray Bradbury, e come sempre sarà.


LAFAYETTE ADDIO | Ray Bradbury | Scarica PDF

Si sentì bussare alla porta, ma non squillare il campanello, così seppi chi era. Prima succedeva una volta alla settimana, ma negli ultimi tempi sentivo bussare un giorno sì e uno no. Chiusi gli occhi, pregai e aprii la porta.
Bill Westerleigh era lì, che mi guardava, le lacrime che gli scorrevano lungo le guance.
— E la mia casa o la tua? — disse.
Era una battuta vecchia, ormai. Parecchie volte all’anno gli capitava di andare in giro e di perdersi, a pochi isolati di distanza. Era un vecchio di settantasei anni, e aveva smesso di guidare perché una volta si era ritrovato a una cinquantina di chilometri da Los Angeles invece che in centro, dove abitavamo. I suoi viaggi migliori, adesso, erano dalla porta accanto, dove abitava con sua moglie, meravigliosamente dolce e comprensiva, alla mia, dove bussava, entrava e piangeva.
— È la tua casa o la mia? — disse invertendo l’ordine.
— Mi casa es su casa — dissi citando il vecchio detto spagnolo.
— Grazie a Dio.
Feci strada fino alla bottiglia dello sherry e ai bicchieri nel salotto e ne versai per due mentre Bill si sedeva su una poltrona di fronte a me. Si asciugò gli occhi e si soffiò il naso con un fazzoletto che poi ripiegò e si rimise in tasca.
— Alla tua salute, amico. — Sollevò il bicchiere di Sherry. — Il cielo è pieno di nemici. Spero che tu ritorni. Altrimenti, lasceremo cadere una corona nera dove ci sembrerà che tu sia precipitato. —
Io bevvi, e venni riscaldato dal liquore; poi guardai a lungo Bill.
— Senti ancora volare l’Escadrille? — chiesi.
— Ogni notte, subito dopo mezzanotte. E adesso ogni mattina. E la settimana scorsa a mezzogiorno. Cerco di non venire da te. Ci ho provato per tre giorni. —
— Lo so. Ho sentito la tua mancanza. —
— Grazie per avermelo detto, figliolo. Hai buon cuore. Ma so di essere una peste, nei miei momenti di lucidità. In questo momento sono lucido, e brindo alla tua ospitale salute. —
Vuotò il bicchiere e io glielo riempii di nuovo.
— Vuoi parlarne?
— Sembri un mio amico psichiatra. Non che io sia mai mandato da uno psichiatra; era solo un amico. Il bello di venire qui è che è gratis, e c’è anche lo sherry. — Guardò pensierosamente il bicchiere. — È una cosa terribile essere perseguitati dai fantasmi. —
— Tutti noi abbiamo qualche fantasma. È questo che Shakespeare aveva capito. L’ha insegnato a se stesso, l’ha insegnato a noi, l’ha insegnato agli psichiatri. Non siate cattivi, ha detto, altrimenti i vostri fantasmi vi perseguiteranno. I vecchi ricordi, la coscienza che rende codardi e fa tremare gli uomini a mezzanotte; Macbeth, sei segnato; Lady Macbeth, anche tu! Riccardo III, attento, camminiamo sul campo all’alba, accanto a te, e i nostri sudari sono rigidi di sangue. —
— Mio Dio, come parli bene. — Bill scosse la testa. — È bello abitare accanto a uno scrittore. Quando ho bisogno di una dose di poesia, eccoti qui.
— Faccio troppi discorsi. I miei amici si annoiano.
— Io no, amico mio, io no. Però hai ragione. Circa quello di cui parlavamo. I fantasmi, cioè.
Mise giù il bicchiere di sherry, e si afferrò ai braccioli della poltrona come se fosse la cabina di
un aereo.
— Adesso volo tutto il tempo. È più il 1918 che il 1987. È più la Francia che gli Stati Uniti. Sono in cielo con la vecchia Lafayette. Sono a terra vicino a Parigi con Rickenbacker. E lassù, proprio mentre il sole tramonta, c’è il Barone Rosso. Certo che ne ho viste nella mia vita, eh Sam? —
Era un suo modo di fare affettuoso quello di chiamarmi con sei o sette nomi diversi. Mi piacevano tutti. Annuii.
— Un giorno o l’altro scriverò la tua storia — dissi. — Non capita ad ogni scrittore di avere un vicino che faceva parte dell’Escadrille e che ha volato e combattuto contro von Richthofen. —
— Non potresti scriverla, caro Ralph; non sapresti cosa dire. —
— Potrei farti una sorpresa. —
— Sì, per Dio, potresti. Ti ho mai fatto vedere la foto di me con tutta l’Escadrille Lafayette, vicino al nostro biplano scassato, nell’estate del diciotto?
— No — mentii. — Fa’ vedere.
Lui tirò fuori dal portafoglio una piccola foto e me la buttò. L’avevo vista cento volte, ma era una meraviglia.
— Io sono quello in mezzo a sinistra, quello piccoletto con il sorriso da scemo vicino a Rickenbacker. — Bill allungò una mano per indicare.
Guardai tutti quei morti, perché la maggior parte era morta ormai, e c’era Bill, a vent’anni, felice come una pasqua, e tutti gli altri giovani, giovani, o buon Dio, giovani, allineati, un braccio sulla spalla del compagno e l’altro che teneva il casco e gli occhiali; e alle spalle un biplano francese 7-1; e dietro la pista piatta, da qualche parte vicino al fronte occidentale. Si sentivano rumori d’aereo provenire da quella maledetta fotografia. Li sentivo sempre, quando la tenevo in mano. E rumori di vento e di uccelli. Era come uno schermo TV in miniatura. Mi aspettavo di vedere da un momento all’altro l’Escadrille Lafayette entrare in azione, voltarsi, correre e decollare in quel cielo assolutamente limpido e infinito. In quell’esatto momento del tempo, nella foto, il Barone Rosso viveva ancora nelle nuvole; sarebbe rimasto lì per sempre, adesso, senza mai atterrare, e questo era giusto e bello, perché noi volevamo che rimanesse lì in eterno… Così si sentono i ragazzi e gli uomini.
— Dio, mi piace farti vedere le cose. — Bill ruppe l’incantesimo. — Tu sai apprezzare. Avrei voluto averti vicino quando facevo film per l’MGM.
Questo era l’altro lato di William (Bill) Westerleigh. Dopo aver combattuto, e fotografato il fronte occidentale da un miglio di altezza, era tornato negli Stati Uniti e aveva fatto carriera.
Dai Laboratori Eastman di New York, si era spostato in uno di quegli effimeri studi cinematografici di Chicago, dove aveva recitato anche Gloria Swanson, e alla fine era arrivato a Hollywood e alla MGM. Con la MGM era finito in Africa a fotografare leoni e watussi per Le miniere di Re Salomone. In giro per gli studi di tutto il mondo, non c’era nessuno che lui non conoscesse, e nessuno che non conoscesse lui. Era stato primo cameraman in un paio di centinaio di film, e c’erano due Oscar d’oro sul caminetto della porta accanto.
— Mi dispiace di essere nato tanto tempo dopo di te — dissi. — Dov’è quella foto di te e Rickenbacker da soli? E quella firmata da von Richthofen? — Non vorrai vedere quelle, amico?
— Ci puoi giurare che voglio vederle! Lui aprì il portafoglio, e mi porse la foto con loro due, lui e il capitano Eddie, e la foto di von Richthofen in alta uniforme, firmata sotto in inchiostro.
— Tutti morti — disse Bill. — La maggior parte. Ne restarono solo uno o due, oltre a me. E non passerà molto tempo… — fece una pausa — prima che me ne vada anch’io.
E d’improvviso, le lacrime sgorgarono nuovamente dai suoi occhi e gli scivolarono lungo il naso.
Gli riempii il bicchiere.
Lui bevve e disse: — Non è che io abbia paura di morire. Ho solo paura di morire e di andare all’Inferno! —
— Tu non ci andrai, Bill — dissi.
— Invece sì! — gridò, quasi indignato, gli occhi che brillavano, le lacrime che gli scendevano attorno alla bocca aperta. — Per quello che ho fatto, e per cui non potrò mai essere perdonato!
Aspettai un momento. — Cosa è stato, Bill? — chiesi con voce sommessa.
— Tutti quei ragazzi che ho ucciso, quei giovani che ho distrutto, tutta quella gente stupenda che ho assassinato. —
— Tu non l’hai mai fatto, Bill — dissi.
— Sì! L’ho fatto! Nel cielo, maledizione, dall’aria, sulla Francia e sulla Germania, tanto tempo fa, ma Gesù, sono qui ogni notte, vivi, che volano, salutano, gridano, ridono come ragazzi, fino a quando non sparo con le mitragliatrici fra le pale dell’elica, e le loro ali si incendiano, e cadono a vite. Qualche volta mi fanno un segno, O.K.!, mentre precipitano. Qualche volta imprecano. Ma Gesù, ogni sera, ogni mattina adesso, e il mese scorso, non se ne vanno mai. Oh, quei ragazzi meravigliosi, bellissimi, quelle facce stupende, i grandi occhi scintillanti, ed ecco che precipitano. E sono stato io. E brucerò all’Inferno per questo! —
— Tu non brucerai… ripeto: non brucerai, all’Inferno. —
— Dammi un altro bicchiere e sta’ zitto — disse Bill. — Cosa ne sai tu di chi brucia e di chi non brucia? Sei cattolico? No. Sei battista? I battisti bruciano più adagio. Basta così, grazie. —
Gli avevo riempito il bicchiere. Bevve un sorso, il liquido per la sua bocca che incontrava quello che scendeva dai suoi occhi.
— William. — Mi riempii il bicchiere. — Nessuno brucia all’Inferno per le guerre. Le guerre sono fatte così.
— Tutti bruciamo — disse Bill.
— Bill, in questo stesso momento in Germania c’è un uomo della tua età, che ha gli stessi pensieri, che piange sulla sua birra, che ricorda troppe cose. —
— Ed è giusto! Bruceranno, anche lui brucerà, ricordando i miei amici, i ragazzi stupendi che si sono avvitati a terra con le loro eliche. Non capisci? Loro non lo sapevano. Io non lo sapevo. Nessuno glielo aveva detto, nessuno ce l’aveva detto. —
— Cosa?
— Cos’era la guerra. Cristo, non lo sapevamo che sarebbe venuta a cercarci, che ci avrebbe trovato, dopo tanto tempo. Credevamo che fosse finita; poi avevamo un modo per dimenticarla, per metterla da parte, per seppellirla. I nostri ufficiali non ce lo dissero. Forse non lo sapevano. Nessuno di noi lo sapeva. Nessuno immaginava che un giorno, da vecchi, le tombe si sarebbero spalancate, e tutte quelle facce bellissime sarebbero venute fuori, e con loro l’intera guerra? Come potevamo indovinarlo? Ma adesso è arrivato il momento, e i cieli sono pieni, e gli aerei non vogliono scendere, a meno che non brucino. E i giovani non smettono di salutarmi alle tre del mattino, a meno che non li uccida di nuovo. Gesù Cristo. È terribile. E così triste. Come posso salvarli? Cosa devo fare per tornare indietro e dire: Cristo, mi dispiace; non avrebbe mai dovuto succedere; qualcuno avrebbe dovuto avvertirci quando eravamo felici. La guerra non significa solo morire; significa ricordare e ricordare presto e tardi. Auguro loro ogni bene. Come faccio a dirlo? Qual è la mossa successiva? —
— Non c’è nessuna mossa — dissi a bassa voce. — Stai qui seduto con un amico, e beviti un altro bicchierino. Non mi viene in mente niente che tu possa fare. Vorrei riuscirci… —
Bill si rigirò fra le mani il bicchiere.
— Lascia che te lo dica io, allora — sussurrò.
— Sì?
— Questa notte, forse domani notte, è l’ultima volta che mi vedi.
— No. Ascolta fino in fondo.
Si chinò in avanti, guardando il soffitto alto, poi fuori dalla finestra dove il vento stava raccogliendo nuvole temporalesche.
— Sono atterrati nei nostri cortili, durante le ultime notti. tu non li avrai sentiti. I paracadute fanno il rumore degli aquiloni, sono sospiri morbidi. I paracadute atterrano nei nostri cortili. In altre notti, i corpi senza paracadute. Le notti buone sono quelle silenziose, quando si sente solo la seta e i fili sulle nuvole. Le notti brutte sono quelle in cui si sentono novanta chili di aviatore colpire l’erba. Le notti migliori sono quelle in cui non si sente niente. Allora si può dormire. Ieri notte una dozzina di cose sono cadute sui cespugli vicino alla finestra della mia camera da letto. Questa notte ho guardato le nuvole, ed erano piene di aerei e di fumo. Puoi fermarli? —
Cifu un lungo silenzio.
-Allora — disse — non puoi aiutarmi? Non mi credi?
— Sai una cosa? Ti credo. —
Lui tirò un profondo respiro, che liberò la sua anima.
— Grazie a Dio! Ma cosa faccio adesso? —
Mi alzai e andai alla finestra.
— Hai provato — dissi — a parlare con loro? —
— Ripetilo! — Si chinò in avanti, improvvisamente eccitato.
— Voglio dire, hai provato a chiedere loro perdono? —
— Ma mi ascolteranno? —
— Puoi sempre provare, Bill. —
— Mio Dio — disse lui. — Naturalmente! Perché no? Non ho niente da perdere, a parte la mia testa. Verrai con me? Il tuo cortile. È più grande. Non ci sono alberi in cui possano impigliarsi. Cristo, oppure sulla veranda… —
— Penso che la veranda vada bene. —
Andai alle porte-finestra del soggiorno. Le aprii e uscii. Era una sera quieta, con appena qualche sbuffo di vento che muoveva le foglie degli alberi e mutava la forma delle nuvole.
Bill era dietro di me, un po’ incerto sulle gambe, con un sorriso speranzoso, in parte di panico, sulla faccia. Aveva riempito nuovamente il bicchiere, seguendomi.
Guardai il cielo e la luna che stava sorgendo.
— Non c’è niente — dissi.
— Oh, Cristo, certo che c’è. Guarda — disse. — No, aspetta. Ascolta. —
Mi fermai, con un senso di gelo, chiedendomi perché aspettassi, e ascoltai.
— Perché mi sopporti? — chiese d’improvviso.
— Perché — dissi — conosco te e Gert da ventidue anni, e vi voglio bene. Adesso cosa facciamo? —
— Ci mettiamo in mezzo al giardino, dove possano vederci? Tu non devi farlo, se non vuoi. —
— Diavolo — mentii — non ho paura. —
— No? — Studiò la mia faccia. — Apri un’altra bottiglia. Che ore sono? —
— Mezzanotte meno dieci. —
— Presto! —
Corsi dentro e tornai fuori con una bottiglia.
— All’Escadrille Lafayette? — dissi. — No, no! — gridò Bill, allarmato.— Non questa notte. Non devono sentirlo. A loro, Doug. A loro. — Sollevò il bicchiere al cielo, dove le nuvole volavano in squadroni, e la luna era una rotonda lapide bianca.
Alzai il capo alle nuvole fantasma.
— Sì — dissi. — A loro. —
— A Richthofen, e ai giovani meravigliosi e tristi. —
Ripetei le sue parole in un sussurro.
Poi bevemmo, sollevando i nostri bicchieri vuoti in maniera che le nuvole e la luna e il cielo silenzioso potessero vedere.
— Sono pronto — disse Bill. — Se adesso vogliono venire a prendermi. Meglio morire adesso che rientrare, e sentirli atterrare ogni notte, ogni notte con i loro paracadute, senza dormire fino all’alba, quando l’ultima seta si affloscia e la bottiglia è vuota. Mettiti lì, figliolo. Esatto. Solo metà in ombra. Abbastanza per farmi sentir meglio, abbastanza lontano perché se cade qualcosa, cada solo addosso a me. Vai. —
Mi ritrassi, e aspettammo.
— Cosa devo dirgli? — chiese..
— Santo cielo, Bill — dissi. — Non lo so, non sono amici miei. —
— Non erano neanche miei. Peggio. Credevo che fossero miei nemici. Cristo, che mondo stupido e assurdo. Il nemico! Come se fosse mai veramente esistita una cosa del genere al mondo. Certo: magari il prepotente che ti inseguiva nel cortile della scuola e ti prendeva a calci nel culo, o il tipo che ti portava via la ragazza e rideva di te. Ma loro, quei ragazzi fra le nuvole nei giorni d’estate o nelle sere d’autunno. No. —
Si allontanò dalla veranda.
— Va bene — mormorò. — Sono qui. Merito qualsiasi cosa vogliate farmi. — E si protese in avanti, allargando le braccia per abbracciare l’aria notturna. — Avanti! Cosa aspettate? —
Chiuse gli occhi. Si protese talmente che pensai potesse cadere.
Allungai una mano per sorreggerlo, ma lui si ritrasse. No.
Feci un passo indietro e aspettai.
— Tocca a voi — gridò alla fine. — l’ultima occasione. Per Dio, dovete ascoltarmi; dovete venire. Meravigliosi bastardi, sono qui! —
E piegò indietro la testa, come per accogliere una pioggia scura.
— Arrivano? — chiese con gli occhi chiusi.
— No — dovetti ammettere.
Bill alzò la sua vecchia faccia nell’aria e guardò in alto, volendo che le nubi mutassero forma, diventassero qualcosa più che nuvole. Chiedendo che grandi fiori sbocciassero e cadessero in un’enorme nevicata che coprisse i tetti e le siepi.
— Maledizione! — gridò alla fine. —Sono qui. Vi ho ucciso tutti. Perdonatemi o venite a uccidermi! Alla fine, in un’esplosione rabbiosa: — Perdonatemi. Mi dispiace! —
La forza della sua voce fu tale da respingermi nell’ombra. Forse fu questo. Forse Bill, in piedi come una piccola statua in mezzo al mio giardino, costrinse le nuvole a mutare forma e il vento a soffiare verso sud invece che verso nord. Sentimmo entrambi, molto lontano, un immenso sussurro.
— Sì! — gridò Bill, e rivolto a me, con gli occhi chiusi, i denti stretti: — Tu, tu senti! —
E ci fu un altro spostamento, una perturbazione nelle nuvole come se un’elica gigantesca e invisibile fosse passata in mezzo ad esse.
Sentimmo un altro suono, più vicino, come di grandi fiori o boccioli che venissero staccati da alberi primaverili e gettati nel cielo.
— Ecco — sussurrò Bill.
Le nuvole parvero formare un coperchio, una vasta forma di seta che calò in sereno silenzio sulla terra. Mi parve quasi, anche se non poteva essere così, che assomigliasse al più grande paracadute nella storia dell’uomo. Scese così silenziosamente che mi terrorizzò. Formò un’ombra che attraversò la città e nascose le case e alla fine raggiunse il nostro giardino e oscurò l’erba, e nascose la luce della luna, e alla fine mi tolse la vista di Bill.
— Sì! Stanno arrivando — gridò Bill. — Li senti? Uno, due, una dozzina. Oh, Dio, sì! —
E tutto intorno, nel buio, mi parve di sentire mele e prugne e pesche cadere da alberi invisibili, il rumore di stivali che calpestavano il prato, e il rumore di cuscini che colpivano l’erba come corpi. E il frusciare di arazzi di bianca seta o di fumo, o, Dio lo sa, di anime di uomini strappate dai loro corpi e gettate nell’aria.
— Bill!
— No! — gridò. — Sto bene! Sono attorno a me. Non venire. Sì! —
Ci fu un tumulto nel giardino. Le siepi erano scosse come da una fila di eliche che non riuscivo a vedere. L’erba era piegata a terra. Un secchio di lamiera per l’acqua rotolò nel cortile. Gli uccelli vennero scagliati via dagli alberi. I cani di tutto il quartiere abbaiarono e uggiolarono. Le luci si accesero in una dozzina di case. La sirena di un’altra guerra ululò a quindici chilometri di distanza. Era arrivato un temporale, e quelli che si sentivano erano tuoni, o artiglieria da campo?
E un’ultima volta sentii Bill parlare, quasi sottovoce: — Non lo sapevo, oh Dio, non sapevo cosa stavo facendo. — E un’ultima parola che quasi svaniva: — Per favore. —
E la pioggia cadde brevemente, mescolandosi con le lacrime sulla sua faccia.
E la pioggia cessò e le nuvole vennero soffiate via, e il vento si calmò. Aspettai.
— Bene. — Si asciugò gli occhi e si soffiò il naso con un grande fazzoletto, e guardò il fazzoletto come se fosse la mappa della Francia, e disse: — È ora di andare. Pensi che mi perderò ancora? —
— Se ti perdi, puoi sempre venire da me. —
— La mia casa lontano da casa, certo. — Girò attorno alla casa, gli occhi chiari. — Quanto ti devo, Sigmund? —
— Be’, è stata un’ora di trenta minuti. — Metà tariffa, dunque. —
Lo abbracciai. Lui si avviò lungo la strada. Quando arrivò all’angolo parve confuso. Si voltò a destra, poi a sinistra. Aspettai un momento, poi chiamai, il più gentilmente possibile: — A sinistra, Bill, a sinistra. —
— Dio ti benedica, amico! — disse, e agitò una mano.
Si voltò ed entrò in casa sua.
Il mese successivo lo trovarono che vagava a tre chilometri da casa. Un mese dopo era in ospedale, sempre in Francia adesso, e c’era Rickenbacker nel letto alla sua destra, e Richthofen nella branda alla sua sinistra.
Il giorno dopo il funerale, arrivò l’Oscar, portato dalla moglie, che lo mise sul mio caminetto, con una rosa rossa accanto e la fotografia di von Richthofen, e l’altra fotografia della squadra allineata nell’estate del ’18, e il vento che soffiava dalla fotografia, e il ronzio degli aerei, e le risate di giovani uomini, che pareva non dovessero finire mai.
Qualche volta scendo alle tre della mattina, quando non riesco a dormire, e guardo Bill e i suoi amici. E da quello stupido sentimentale che sono, alzo un bicchiere di sherry alla loro salute.
— Addio Lafayette — dico. — Lafayette, addio. —
E loro ridono, come se fosse la cosa più divertente che abbiano mai sentito.

Titolo originale: Lafayette Farewell – Traduzione di Delio Zinoni – 1988